La dottoressa Claudia Montuschi, direttrice del dipartimento dei manoscritti della Biblioteca Apostolica Vaticana, ha aperto le porte del Salone Sistino agli studenti del Corso di Siriaco di Tor Vergata. Tra le meraviglie pittoriche, la dottoressa ha guidato i corsisti verso due pregiati codici manoscritti, testimoni della grande tradizione siriaca, nel mentre che illustrava con cura la storia del pregiato salone.
Fra il 1587 e il 1589 Papa Sisto V commissionò all’architetto Domenico Fontana la costruzione di un nuovo salone, un braccio trasversale che attraversa il cortile del Belvedere, come aggiunta alle sale della Biblioteca Apostolica Vaticana, fondata nel lontano 1451 per volere di Niccolò V, il papa umanista. Il nucleo più antico della biblioteca è costituito da una cospicua raccolta di libri che comprende anche i preziosi scritti arrivati in Vaticano grazie all'attività dei mercanti provenienti dall’Oriente e da tutta Europa. La sua collezione comprende anche i molti volumi posseduti dalla Biblioteca di Costantinopoli, giunti dopo la sua caduta nelle mani dei Turchi nel 1453.
Il ricco patrimonio di cui attualmente dispone è in continua espansione. Al momento possiede circa un milione di libri stampati fra i quali 8400 sono incunaboli, 150mila manoscritti, 300mila monete e medaglie e 70mila stampe e incisioni pregiate.
Nell’enorme aula a due navate, totalmente decorate, si svolge un programma iconografico che vuole difendere la legittimità del primato della Chiesa romana e del potere spirituale e temporale esercitato dal papa. Le diciotto pitture murali, ideate come quadri riportati, furono affidate ai pittori tardo-rinascimentali Giovanni Guerra e Cesare Nebbia, e seguivano quattro soggetti principali: Le Biblioteche dell’antichità; I Concili ecumenici; gli Inventori degli Alfabeti e le Opere sistine. La produzione intellettuale delle civiltà antiche non è che una prefigurazione del portento intellettuale della Chiesa Cattolica, e sotto questa spinta umanistica, le raffigurazioni di Pitagora e Mercurio Trismegisto fanno da cornice a Il Rogo dei libri di Ario, capolavoro di Andrea Lilli, che si trova subito accanto al Concilio di Nicea, non lontano dalle scene che raffigurano il Concilio Costantinopolitano II e il Concilio di Vienne.
Il professore Marco Pavan, docente presso l’Università pontificia San Tommaso, presso la facoltà Teologica dell’Italia Centrale e presso l’Università degli studi Roma Tre, e la professoressa Claudia Tavolieri, docente presso l’Università di Tor Vergata, hanno guidato gli studenti per mezzo di una lezione a contatto con i manoscritti, circondati dai «Sacri scrittori» e dagli «Amatori delle lettere», con protagonisti due documenti: Il Vat. sir. 160 e il Vat. sir. 647, codici oggigiorno consultabili grazie agli sforzi intellettuali dell’arcivescovo maronita Giuseppe Simone Assemani, che si occupò della classificazione dei codici manoscritti della Biblioteca Apostolica Vaticana. Nel 1710 fu nominato interprete di lingua araba e siriaca della stessa biblioteca, e nel 1715 fu inviato da papa Clemente XI in Egitto e in Siria alla ricerca di manoscritti religiosi, ritornando nel 1717 con circa 150 manoscritti. Nel 1735 andò nel Libano come delegato pontificio al sinodo dei maroniti, viaggio da cui fece ritorno con una raccolta di circa duemila tra manoscritti e documenti, fra cui il Codex Assemanius.
Il codice manoscritto Vat. sir 160, datato al 471 d.C., raccoglie la tradizione sugli Atti dei martiri di Persia della grande persecuzione. Questa ebbe luogo nel IV secolo, seguì di poco la morte di Costantino e si perpetrò per oltre quaranta anni. Uno dei martiri più importanti, contenuto nel codice 160, è quello di Simeone Bar Sabba’e vescovo di Seleucia-Ctesifonte, dove è possibile trovare testimonianza della legislazione sassanide e delle sue modalità di esecuzione: a differenza di quella romana, in materia penale, veniva gestita direttamente dal solo Re dei Re:
« 1 [779] Now we come to the sorrowful story of the death of the holy martyr of God, Mar Simeon — the archbishop and catholicos of the Church of the East, who was the first one to excel in the land of the East as a blessed martyr of God, (and) whom we commemorate in this very memra of ours — and also the martyrdom of Gadyahb and Subyana, the bishops of Beth Lapat, Yohannan, the bishop of Hormizd-Ardashir. Bolida, [782] the bishop of Prat d-Maishan; Yohannan, the bishop of Karka d-Maishan; the ninety-seven priests and deacons; Gushtazad, the head eunuch, who held the rank of arzbed; and Pusai-Qarbed, who held the rank of the head of the craftsmen, and of his daughter, who was a bart qyama, (all of) whom, with blessed Simeon, were crowned in the blessed martyrdom of God.»¹
La causa del martirio risiede soprattutto nel rifiuto di Simeone di imporre alla sua comunità cristiana una doppia tassa, imposta da Shapur II, descritta come una tassa punitiva contro chi tra coloro che vivevano in Persia supportava il Cristianesimo. L’atto di Simeone è inteso come una vera e propria ribellione: condotto alla corte di Shapur II, dichiara che un vescovo che impartisce insegnamenti di povertà e umiltà non può obbligare il proprio «gregge» a pagare una tassa simile, ma che, nonostante ciò ,i cristiani rispettano Shapur II come Re (e solo come tale, non come divinità), e che tutto ciò che è loro appartiene a lui. Per tutta risposta, il Re dei Re chiede a Simeone le motivazioni del suo credo, lo invita a convertirsi al culto del Sole e del Fuoco, e il rifiuto di Simeone sfocia in una lunga discussione teologica sulla natura del fuoco, sullo stato di Cristo, sulla vera e propria natura di Dio. Tale rifiuto fa indignare il Re che ordina di incarcerare il vescovo. Dopo diversi giorni, posto nuovamente di fronte alla scelta di convertirsi al Mazdeismo, Simeone rifiuta, e Shapur II, pur ammirando la sua forza di volontà, ordina che venga martirizzato assieme a cento altri sacerdoti. Venne decapitato “alla nona ora… nel Venerdì della Passione di nostro Signore”.²
Il martirio si conclude con un appello da parte del narratore: che le preghiere dei martirizzati possano assistere l’intera comunità di fedeli.
L’importanza del martirio di Simeone è tale da essere attestato in due recensioni: una prima recensio, più breve e autorevole; una seconda, posteriore e più lunga.
Gli Atti dei martiri vennero raccolti e trascritti da Marutha di Maipherquat, che nel V secolo raccolse le testmonianze avvenutie durante la grande persecuzione.
L’esistenza di una lectio manoscritta che presenta due o più versioni della stessa opera, sottolinea l’importanza dell’opera stessa, e permette di svolgere un lavoro di confronto per capire qual è stata l’evoluzione di questi testi, la loro fortuna, come siano stati assimilati e recepiti — Le lectiones del manoscritto 160 e di Marutha marcano il solco che le grandi persecuzioni hanno impresso sulle comunità cristiane di Persia, le quali, durante tutto il regno di Costantino, “l’imperatore vittorioso”, avevano potuto prosperare, pur nel pieno rispetto dello Shahansha e del suo regno. È in questo contesto che si incornicia la preghiera ultima del narratore, nella speranza che la comunità cristiana esca rinvigorita, più umile e forte, dall’esperienza del martirio.
A seguire, un altro estrapolato dalla discussione teologica tra Simeone e Shapur II. L’intensa discussione, al limite della sticomitia, mostra il metodo investigativo utilizzato dallo Shahansha per indagare le ragioni degli interrogati:
43.[…] The king said to him, “If you do not worship fire because it is
mortal, then neither should you worship your god, lo indeed, who
died when the Jews crucified him. For you should regard the
mortality of fire in the same way as the mortality of your god.”
44. When victorious Simeon heard this he was astounded and said,
“Far be it from God, my lord King, to suffer or die! Any being that
suffers and dies is not God because the divine nature is beyond
suffering and also beyond death. For he does not suffer either in
his nature or in anything else.”
The king said to him, “Lo, indeed! In this I have found you
out as a liar, in that you said your god does not die.”
Holy Simeon said to him, “I have not lied, my lord {855}
King!”
The king said to him, “Did not Jesus, whom you call ‘Christ,’
die?”
Simeon said to him, “Truly, Jesus died and returned to life and
rose; however, God neither died, nor returned to life, nor rose.”
The king said to him, “And who is Jesus Christ of whom you,
too, speak?”
Simeon said to him, “God and man.” ³
Vat. Syr. 160 folio 1v — Pur danneggiato, è possibile apprezzare la suddivisione del testo in due colonne e l'uso di un ottimo estranghelo semicorsivo.
Vat. Syr. 160 folio 1r — La pagina risalta per la miriade di note lasciate da chi, prima di noi, ha potuto consultare il testo.
Vat. Syr. 160 folia 183v-184r.
Il codice manoscritto Vat. sir 647 è un codice di contenuto innologico/liturgico, di ambiente melchita, e risale al XIII secolo. Fa parte dei cataloghi Géhin, Les manuscrits syriaques 111–113; Kamil, Catalogo 158 (nr. 190); Lewis, Catalogo 53. Proviene dal monastero di Santa Caterina, sito nella penisola del Sinai. Il monastero, dedicato a Santa Caterina di Alessandria, è il più antico monastero cristiano ancora esistente, risalente al VI secolo. Sorge alle pendici del monte Horeb dove, secondo la tradizione, Mosè avrebbe parlato con Dio.
Al suo interno è preservata una delle più vaste collezioni di manoscritti al mondo, inclusi numerosi palinsesti, con un numero che ammonta a oltre 4500 codici. Circa 3300 sono contenuti nella così detta “Vecchia Collezione”, mentre 1200 manoscritti fanno parte delle “Nuove Scoperte”. Più di metà di questi manoscritti sono in greco, ma la biblioteca contiene anche scritti in Arabo, Armeno, Aramaico Palestinese Cristiano (CPA), Copto, Etiopico, Georgiano, Latino, Persiano, Polacco, Slavo e Siriaco. Tra questi, troviamo all’incirca 170 palinsesti, in cui sono attestate ben undici lingue differenti come scriptiones inferiores: Arabo, Armeno, Albanese-Caucasico, CPA, Copto, Etiopico, Georgiano, Greco, Latino, Slavo e Siriaco.
Prima di proseguire, è opportuno chiarire cosa sia un palinsesto: dal lat. palimpsestus, gr. παλίμψηστος «raschiato di nuovo», comp. di πάλιν «di nuovo» e ψάω «raschiare», assume il significato di “raschiato e pronto per il riuso”, riferendosi al processo di pulizia del papiro o della pergamena per una re-scrittura che usa una tecnica simile a quella utilizzata per la preparazione della pelle animale come supporto scrittorio. Il testo inferiore di un palinsesto è soprannominato scriptio inferior; il testo superiore è detto scriptio superior. Il supporto così trattato può essere sottoposto al processo anche più di una volta, finendo così col divenire un doppio o triplo palinsesto (denominati anche codices bis rescripti e ter rescripti), Quest’ultimi, in aggiunta al sotto-testo e al sovra-testo contengono uno o due altri testi negli strati intermedi.
La ragione principale per cui questa pratica veniva attuata era il costo elevato della pergamena e la sua difficoltosa produzione: un problema sentito soprattutto nelle regioni periferiche dell’impero, come nel sud della penisola Italica, nelle isole Greche e in Palestina, dove era difficile che arrivassero rotoli di pergamena intonsi e pronti all’uso.
Vari erano i metodi di preparazione del palinsesto — c’era la raschiatura a secco, eseguita per mezzo di un coltello, una pietra pomice, della sepiolite, der schleifbrot (lett. “grattare il pane”), o della pietra arenaria. Un altro metodo prevedeva un vero e proprio lavaggio del documento, con l’uso di acqua, vino o latte. Indicazioni di come ciò veniva fatto vengono conservate in alcune ricette, come quelle presenti in un codice dell’undicesimo secolo conservato alla Bayerische Staatsbibliothek di Monaco:
«Whoever wishes to rewrite, if this becomes necessary, on already written parchment, should take milk and immerse the parchment in the milk overnight. After taking it out, flour should be spread over it, so as to prevent wrinkles where it starts to dry, and he should press it under a press until it is dry. When this is done and the parchement is polished with pumice and chald it will regain its white shine.»⁴
I testi scelti come base per il palinsesto erano solitamente codici non più utilizzabili, per via del loro contenuto desueto o per errori nella fase di preparazione per la scrittura; codici danneggiati o illeggibili; codici disponibili in più copie o codici il cui stile di scrittura non era più in voga.
Il codice manoscritto Vat. sir 647 offre quattro esempi di palinsesto al suo interno, nei ff. 8-9rv, 38r-39v. I folia palinsesti sono così stati trattati: preso un singolo grande folio, su cui era presente lo scriptio inferior diviso su due colonne, veniva ruotato di 90° o 270° e piegato in due, e così usato come un bifolio. Il formato in cui è stato ritagliato, 26cmX17cm, e il contenuto stesso delle scritture scelte, tra cui atti degli apostoli, liturgie, agiografie e passaggi biblici, suggeriscono l’uso personale da parte di un monaco o di un gruppo di monaci, e la possibile funzione del testo come libro di preghiere e versetti, atto alla consultazione personale.
Lo scriptio inferior attesta il palinsesto come parte dell’attività di traduzione dal greco dei testi medici di Galeno, identificato nella fattispecie come il suo trattato De simplicium medicamentorun facultatibus, probabilmente tradotto da Sergio di Resh' Ayina nel VI secolo.
L’interesse per i palinsesti è cresciuto negli ultimi decenni, dando vita a vari progetti di studio e digitalizzazione, guidati dalla volontà di riportare in superficie strati di scrittura che contengono testi dimenticati o sconosciuti, o testi ampiamente attestati ma la cui riscoperta in differenti ambiti culturali, come nel caso del testo di Galeno, permette di comprendere quali fossero gli interessi delle comunità che producevano questi manoscritti, le loro modalità di lavoro e le motivazioni di riutilizzo della pergamena. Le parole di Elias Avery Lowe, nella sua opera Codices Rescripti, risultano quanto mai appropriate:
«The fascination of palimpsests rests primarily on the possibility of recovering a hitherto unknown text, as Angelo Mai once recovered Cicero’s long lost De Republica.»⁵
Esempi di studi di questo tipo sono l’Archimedes Palimpsest Project, iniziato nel 1998 al Walters Art Museum di Baltimora, lo Scythica Vindobonensia Project, iniziato nel 2015, che si è occupato del palinsesto Dexippus Vindobonensis e lo studio di Edoardo Crisci sull’intera collezione di palinsesti della biblioteca Statale del Monumento nazionale di Grottaferrata del 1990, prima del quale erano disponibili solo contributi incompleti sullo stato dei palinsesti. Lo studio di Crisci ha spronato l’attenzione verso questi testi dimenticati, sottolineando quali siano le motivazioni del loro studio:
«Indagare quindi i modi e le forme di riutilizzazione di manoscritti antichi, distrutti e ridotti al ruolo di supporto materiale per nuovi testi; analizzare il rapporto tra testo inferiore e testo superiore; individuare, per quanto possibile, gli ambienti e i luoghi della riutilizzazione, e dunque il probabile itinerario di certi codici; chiarire infine la “ragion d’essere” del palinsesto in un particolare ambito storico-geografico, sono questi gli obiettivi che uno studio del genere dovrebbe almeno proporsi.»⁶
Vat. Syr. 647 — esempio di scala millimetrica, dove è possibile notare le ridotte dimensioni del codice.
Vat. Syr. 647 folio 39v — Grazie alle tecnologie moderne, è possibile recuperare i testi palinsesti.
All’uscita dal Salone Sistino, sotto il nascente caldo romano, gli studenti del Corso di Siriaco hanno espresso il loro entusiasmo e soddisfazione per la visita. Catturati dall’enigma iconografico delle pennellate degli affreschi e dalla bellezza dei fiumi di parole dei manoscritti, tra inchiostri neri e rossi, hanno rinnovato il loro interesse per la lingua siriaca. Le testimonianze dei manoscritti 160 e 647 hanno nuovamente attestato la finezza spirituale e intellettuale del popolo siro, tra religione e scienze, che, tra i tanti codici manoscritti che aspettano di essere studiati, ha ancora molto da dire.
Bibliografia
¹ Kyle Smith, The Martyrdom and History of Blessed Simeon Bar Sabba’e, 2014, Gorgias Pr Llc, pag. 68
² Ivi, pag. 208
³ Ivi, pag. 124-125
⁴ Giulia Rossetto, Greek palimpsestat Saint Catherine’s Monastery (Sinai), Three Euchologia as Case Studie, 2023, Austrian Academy Of Sciences Press, pag 20, nota 43
“München, BSB, clm 18628, f. 105 v . Il testo in latino recita: ‘Quicunque in semel scripto pergameno necessitate cogente iterato scribere velit, accipiat lac imponatque pergamenum per unius noctis spacium. Quod postquam inde sustulerit, farre aspersum, ne ubi sicari incipit in rugas contrahatur, sub pressura castiget quoad exsiccetur. Quod ubi fecerit, pumice cretaque expolitum priorem albedinis suae nitorem recipiet.”
⁵ Ivi, pag . 27
⁶ Ivi, pag. 28, nota 90
I codici manoscritti Vat. Syr. 160 e Vat. Syr. 647 sono consultabili nella loro interezza sul sito Digivatlib.